Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.
Siamo nel 1877, in Russia, e Lev Tolstoj ha appena regalato all’intero mondo una delle più criptiche e controverse chiavi di lettura di un altrettanto intimo ma allo stesso tempo comune aspetto, che riguarda più o meno direttamente ogni individuo: la famiglia.
Il dizionario giuridico Brocardi ci informa: Gruppo di persone che sono legate tra loro da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, ma anche solo di affetto; l’enciclopedia Treccani precisa: Istituzione fondamentale in ogni società umana, attraverso la quale la società stessa si riproduce e perpetua, sia sul piano biologico, sia su quello culturale. […] malgrado la sua universalità, la f. assume nei diversi contesti sociali e culturali una straordinaria varietà di forme, sì da rendere problematico individuare un tratto distintivo che la caratterizzi in ogni circostanza. Leggermente più politically (in)correct quanto emerge dal proseguo della stessa definizione: Le funzioni proprie della f. comprendono il soddisfacimento degli istinti sessuali e dell’affettività, la procreazione, l’allevamento, l’educazione e la socializzazione dei figli, la produzione e il consumo di beni.
Eroico tentativo da parte degli autori delle diverse edizioni di dizionari ed enciclopedie, quella di tentare di fornire una definizione univoca per ogni vocabolo della nostra lingua, sebbene con la società cosmopolita e globalizzata nella quale ci troviamo, sia leggermente dissonante cercare di far coincidere la definizione denotativa con quella connotativa.

La famiglia nel XXI secolo è dinamica, moderna, libera, colorata, anticonvenzionale –ma rispetto cosa?-, eppure è ancora difficile e talvolta pericoloso cercare di far coincidere i propri diritti in quanto essere vivente, con quanto la legge, la politica, la cultura e/o la società impongono e sentenziano circa un tema tanto delicato e dibattuto.
La psicologia ha radici molto profonde per quanto riguarda il tema della famiglia: Freud con le fasi dello sviluppo psico-sessuale e i complessi correlati –Edipo ed Elettra- (1905); Klein con la teoria delle relazioni oggettuali in cui le pulsioni acquistano significato solo se inserite entro un contesto relazionale (1932); la nascita negli anni ‘50 di un approccio sistemico-relazionale per la famiglia con la scuola di Palo Altro e i Sistemici come Bateson, Jackson, Haley e Watzlawick per cui la famiglia è vista come un sistema aperto in continuo scambio con l’esterno e le cui parti interagiscono e condividono l’impegno e le responsabilità.

Ma al di là dei rimandi storici inerenti la psicologia della famiglia, in che modo è possibile normalizzare e legittimare quest’ultima in ogni sua forma? Ancora una volta ci proponiamo come promotori del benessere, e il benessere ricordiamo coinvolge e riguarda ogni dimensione della vita delle persone, tuffiamoci quindi nel paradosso del tabù delle famiglie del ventunesimo secolo.
La famiglia è un sistema composto da singoli individui che vivono una vita sia all’interno che all’esterno della propria famiglia, pertanto lo scambio e l’interazione con altri individui è perpetuo e a dir poco impossibile da evitare. Questi ultimi a loro volta vivono una propria individualità e dei propri interscambi con il nucleo familiare a cui appartengono, rendendo estremamente vario e dinamico il contraccambio di stimoli e vissuti reciproci. Nella rassegna di questo filone della psicologia, la base di partenza sarà quindi l’individualità dei membri che appartengono al medesimo nucleo familiare, altresì l’accento verrà posto sulle relazioni e i legami che intercorrono tra i medesimi.

Ulteriore chiave di lettura proverrà dalle differenti forme di famiglia in cui è possibile incorrere, difatti non è assolutamente possibile pensare di generalizzare determinati costrutti e concetti a tutte le combinazioni che possono comporre un nucleo familiare: normalizzare il non avere e/o volere dei figli, il fatto di averli giovani per la pressione che la società reduce da una mentalità del dopoguerra impone, normalizzare che i figli si possano avere anche a ridosso dei 40 anni, accettare e rispettare che famiglia sia anche composta da persone con lo stesso sesso, che matrimonio non implichi a rescindere che il legame sia basato sull’affetto, che i papà e le mamme single esistono e non sono meno amorevoli e adeguati rispetto ad altri, che separarsi a volte è più funzionale che rimanere insieme. Insomma le combinazioni sono innumerevoli, e ognuna è (dis)funzionale a modo suo.
Il secondo elemento da considerare quando si parla di legami così forti e imprescindibili, assodato il riconoscimento di una determinata unità, riguarda la comunicazione al suo interno: è necessario considerare e normalizzare che talvolta il silenzio eguaglia un litigio, che litigare non implica concludere con decisioni drastiche, che talvolta può anche significare che la persona stessa sta vivendo un momento particolare e lo sfogo delle tensioni avviene riversando nei confronti della persona con cui –più o meno inconsciamente- ci si sente più al sicuro, che è fondamentale rispettare i ritmi e gli spazi altrui, che non esistono regole ferree che determinano cosa è normale e tipico di una determinata famiglia, pertanto ogni singola situazione è legittima e normale e pertanto va rispettata. La stessa gestione dei conflitti si lega direttamente al tema della comunicazione.

L’attaccamento, che come ci insegna Bowlby (1969) è fondamentale per come verranno poi gestite e regolamentate le relazioni future; centrale anche l’educazione e la trasmissione di valori e delle tradizioni, che possono essere emulate da chi le acquisisce ma anche respinte e negate, e ogni decisione va comunque rispettata e accettata.
Impensabile poter ridurre a un unico filone di studi quanto concerne la famiglia e i costrutti sottesi, difatti le si sono dedicati studi e movimenti specifici, come appunto l’approccio terapeutico sistemico-relazionale, che approfondisce in ogni sua forma quanto la persona riceve dalla propria famiglia e quanto la famiglia stessa concepisce il contributo di ogni membro.
Dovere quindi di ogni professionista della salute mentale e del benessere della stessa, normalizzare e far comprendere a chi legge la complessità e la varietà degli aspetti che riguardano la famiglia e chi la compone, senza invadere il campo di competenza dei terapeuti ma assicurando ugualmente la professionalità e la serietà di chi si è formato in merito. La famiglia, a prescindere dal numero delle persone che la compongono, dovrebbe essere un luogo –virtuale e/o astratto- che emani sicurezza, appartenenza, accettazione, comprensione, entro il quale le diverse identità che si assumono al suo esterno vengono riposte e prende forma la vera natura di ognuno, in cui non si finge, in cui l’appartenervi e il ritornarvi siano il motore per raggiungere la serenità e pace interiore.