Dentro l’emergenza: il ruolo dello psicologo

Gli ultimi anni della storia moderna sono stati caratterizzati da un susseguirsi di eventi emergenziali. È possibile distinguere tra diversi tipi di scenari:

  • Naturali: fenomeni di vasta portata presenti in natura, come sismi, eruzioni vulcaniche, maremoti o incendi boschivi.
  • Antropici: causati, in modo più o meno volontario, dalla mano dell’uomo. Si pensi, ad esempio, a guerre, attentati terroristici, incidenti nucleari o con mezzi di trasporto, inquinamento ambientale, e tanti altri.

Ma cos’è esattamente un’emergenza? E, soprattutto, perché parlare di psicologia in emergenza?

L’emergenza è una situazione critica, che ha come caratteristica principale l’imprevedibilità dell’evento, che si presenta in modo inaspettato. Per capire concretamente cosa sia l’emergenza non serve andare lontano. Il covid 19 e la guerra in Ucraina sono etichettabili come emergenza: chi avrebbe mai pensato di vedere con i propri occhi una pandemia? Eppure, è successo alla popolazione globale! Nella primavera del marzo 2020, tutto il mondo ha vissuto uno stravolgimento della quotidianità, contrassegnato sia  da nuove abitudini (igienizzarsi spesso le mani, distanziamento sociale, mascherine), ma soprattutto da una netta demarcazione tra il tempo prima del covid e dopo il covid. L’impatto psicologico che questa separazione ha portato può essere considerata una vera e propria urgenza.

L’urgenza, quindi, è una componente dell’emergenza, più circoscritta nel tempo, e che può essere affrontata utilizzando specifici strumenti. Il quadro appena descritto è uno scenario (esemplificativo, ma non unico) di psicologia dell’emergenza! Lo psicologo formato in psicologia dell’emergenza, quindi, ha il compito di fornire alla popolazione tutta una serie gli strumenti utili a fronteggiare le urgenze psicologiche, tra le quali spiccano quelle emotive.

Le reazioni emotive non sono giuste o sbagliate, ma semplicemente soggettive. Come reagisco in usa situazione di emergenza? Fight or flight, ossia combatti, contrasta attivamente il pericolo, o scappa, abbandona il campo. Non è facile stabilire a priori quale sarà la reazione, perché è il prodotto di fattori sia cognitivi (cosa pensiamo della situazione?) che neurofisiologici. Stephen Porges (2003) parla di una terza forma di reazione, simile a quella adottata da alcune specie: il blocco della risposta. I rettili, in particolare, di fronte a predatori, si fingono morti per evitare di essere mangiati. Queste risposte “vagali” vengono anche messe in atto dalle donne vittime di maltrattamenti quotidiani.

Quotidiano è una parola chiave. Non esistono solo le maxi-emergenze, di cui viene data notizia dai mass media (l’esempio classico è quello dei terremoti), ma anche emergenze quotidiane. Lo psicologo dell’emergenza lavora anche nel pronto soccorso, con lo specifico scopo di favorire la comunicazione tra chi aspetta in sala d’attesa e i medici che lavorano per salvare la vita. In questo tipo di contesti è fondamentale assegnare ruoli alle persone che attendono, in modo tale da valorizzare la loro presenza e spostare l’attenzione rispetto al motivo per il quale si trovano in quel luogo. Nel pronto soccorso possono essere gestite anche urgenze neurologiche, come l’ictus, oppure criticità legate ad incidenti stradali o domestici.

Insomma, allo psicologo che lavora in emergenza è richiesta flessibilità, e spirito di adattamento. Non ha un setting specifico, non ha un suo studio privato. Non sono i pazienti ad andare da lui, ma è lui a supportare la persona anche in ambienti informali!

Serena Tagliente
Serena Tagliente

Psicologa formata in neuropsicologia clinica e psicologia dell’emergenza

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