Boston, 1999, è in corso la 107° edizione dell’annuale simposio dell’American Psychological Association (APA) e ad assistere alla rassegna delle ultime indagini realizzate intorno al tema degli strumenti psicologici è presente Raymond Fowler, amministratore delegato e vicepresidente esecutivo dell’APA.
Fowler è rapito dalla suggestione per cui avrebbe potuto, come un moderno Rip van Winkle, il celebre personaggio della letteratura americana, addormentarsi agli albori della propria carriera, negli anni Sessanta, e risvegliarsi sulla soglia del nuovo millennio, nel ben mezzo del simposio, trovando lì, ad attenderlo, i medesimi strumenti di valutazione psicologica. Dal sempre più celebre MMPI, al risveglio alla sua seconda edizione, all’ormai largamente conosciuto Reattivo di Rorschach, fino alle sempre più ampiamente impiegate Scale Wechsler.
Proseguendo sulla scia di questa suggestione, e ad eccezione di alcune innovazioni dettate dalle nuove intuizioni interpretative, Fowler riporta come avrebbe potuto, a quarant’anni di distanza, riprendere carta e penna e garantire al proprio paziente una valutazione psicologica perlopiù sovrapponibile a quella potenzialmente realizzabile da un giovane collega degli anni Duemila.
Se da un lato, certo, la longevità di certe decennali tradizioni dei test non può che rassicurare professionisti e pazienti rispetto alla loro bontà, dall’altro, tuttavia, questo stesso aspetto potrebbe configurarsi, in alcuni casi, come l’indizio di una prudenza al cambiamento e spia di una certa tradizione conservatrice, più desiderosa di consolidare il consenso raccolto intorno al test, che non mossa da una sincera spinta alla modernizzazione, soprattutto quando ad esserne oggetto sono strumenti dall’ormai acclarata bontà e diffuso impiego: padri fondatori e pietre miliari della psicodiagnostica.
Minnesota Multiphasic Personality Inventory: verso un’innovazione dello strumento
Così come le Scale Wechsler sono considerate da larga parte del panorama scientifico come il gold standard nella valutazione del funzionamento intellettivo, allo stesso modo al MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) è riconosciuto un ruolo di primordine nella valutazione del funzionamento personologico.
Alla sua seconda edizione, il MMPI-2 si attesta dunque, a pieno titolo, come l’inventario di personalità autosomministrato (o self-report) più impiegato e conosciuto all’interno panorama scientifico internazionale, con una fortuna che lo ha portato, al suo apice, ad essere tradotto in più di 115 lingue, per l’uso previsto in 46 paesi.
Il Minnesota è, con la sua storia, uno dei più emblematici esempi di progressiva rottura da quella tradizione rassicurante e conservativa evidenziata da Fowler, nonché, al tempo stesso, emblema di un’evidente spinta verso un’autentica modernizzazione.
Mentre le prime due edizioni, MMPI e MMPI-2 ben si inseriscono in questa tradizione cautamente conservativa, il giro di boa nella storia del Minnesota viene compiuto nel 2008, anno della pubblicazione della drastica ristrutturazione del celebre MMPI-2, ovvero il MMPI-2-RF, appunto Restructured Form. Questa versione ristrutturata, come era facile attendersi, non è stata certamente esente da critiche: ma se da un lato i cambiamenti repentini si scontrano con la diffidenza degli addetti ai lavori più conservatori, dall’altro spesso costituiscono un trampolino di lancio per nuovi e più efficaci modelli.
Sebbene infatti relativamente recente, la criticata Restructured Form del 2008 ha posto le fondamenta per la nascita dell’ultimo erede della famiglia del Minnesota: il MMPI-3, pubblicato negli Stati Uniti nel 2020 e non ancora disponibile in Italia.
Ma quale urgenza ha reso necessaria questa ulteriore revisione in un così breve lasso di tempo?
In un precedente articolo ci siamo chiesti “Come può uno strumento nato negli anni ‘80 fotografare, oggi, con le stesse categorie, una platea così drasticamente trasformata?”: il MMPI-3 nasce proprio per ovviare a questa esigenza e colmare l’ormai insostenibile divario tra il campione di riferimento (non aggiornato al 2008, bensì al 1989, anno della pubblicazione del MMPI-2) e la popolazione reale del 2020.
MMPI-3: quali innovazioni?

A partire dalle preziose innovazioni introdotte con il MMPI-2-RF, il MMPI-3 costituisce un ulteriore traguardo nella tradizione ormai decennale del Minnesota, rappresentando una sintesi tra valorizzazione del lavoro di Ristrutturazione e ulteriore innovazione.
Al MMPI-3, infatti, non va riconosciuto “solamente” il merito di un’evidente maggiore rappresentatività, resa possibile da una ri-standardizzazione sulla popolazione americana attuale, distante anni luce da quella degli Anni ‘80, tanto dal punto di vista esperienziale, quanto demografico e socioculturale, ma anche il merito di aver confermato la bontà di innovazioni che, introdotte già a partire dalla Restructured Form, trovano nella terza edizione la loro massima espressione.
Questo, in sintesi, ci offre uno strumento più:
- Snello, con i suoi 335 item (il 59% dei 567 del MMPI-2), più attuali tanto nel contenuto quanto sotto il profilo linguistico;
- Lineare, grazie all’eliminazione dal set di Scale di Base, già dal 2008, di un rintracciato fattore comune di affettività negativa capace di inquinare l’attendibilità della valutazione (e relegato in una nuova scala, denominata Scala Demoralizzazione);
- Moderno, con l’eliminazione della lettura clinica di dimensioni come l’Introversione Sociale, la Mascolinità-Femminilità (già dal MMPI-2-RF) e il Cinismo (dal MMPI-3), nonché la presa di distanze da un approccio fondato sulla ricerca di etichette diagnostiche e irrealistici tipi psicologici, in favore di una maggiore concertazione sulla dimensionalità dei costrutti indagati, più affine all’indagine della complessità umana;
- Tecnologico, con un’innovazione che si esprime per mezzo di più dettagliati e flessibili report interpretativi informatizzati, con possibilità di confronto del singolo caso con popolazioni specifiche;
- Inclusivo, con la formulazione di report in termini gender neutral.
Conclusioni
In conclusione, così come il MMPI ha costituito negli Anni Quaranta del secolo scorso un’innegabile innovazione nel campo della valutazione psicologica, così oggi il MMPI-3 si fa portavoce di questa stessa istanza, con la consapevolezza di come solo attraverso un attivo confronto interno al panorama scientifico si possa garantire l’ideazione e diffusione di strumenti adeguati e rappresentativi.
Nonostante lunga sia ancora la strada da percorrere per pervenire ad una mole di dati paragonabile a quelli raccolti attorno alle precedenti celebri edizioni, i risultati finora ottenuti non possono che incoraggiare a continuare lungo questa via, nella ragionevole speranza di confermare quanto atteso, ovvero una sostanziale equivalenza, se non maggiore attendibilità e validità della Terza edizione rispetto ai suoi celebri predecessori.
Insomma, buon risveglio Van Winkle.
Bibliografia
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