Quando ci si trova di fronte ad un evento improvviso e sul quale non abbiamo il controllo, le reazioni di fronte all’episodio assumono caratteristiche riassumibili nella famosa dicotomia “quando hai paura puoi scappare o lottare”. Nei casi più gravi la terza possibilità consiste nel rimanere “freezati”, completamente immobilizzati, mimando il tipico comportamento di resa degli animali quando si fingono morti di fronte al predatore.

Diversamente dagli animali, l’essere umano ha la possibilità di comprendere e gestire la prima reazione emotiva legata all’emergenza. Dato il carico che questo tipo di elaborazione porta con sé, il lavoro sulle emozioni post-trauma deve essere lento, graduale, e preceduto di una rivalutazione dell’esperienza vissuta in sé per sé, mettendo momentaneamente da parte le emozioni.
Queste tappe sono necessarie per garantire, con un buon margine di sicurezza, il lavoro sul carico emotivo di cui un’emergenza è pregna. Nei contesti emergenziali, cioè, lo psicologo ha a disposizione due strumenti fondamentali: il defusing e il debriefing. Sviluppate negli ’80 all’interno del protocollo americano Critical Incident Stress Management (CISM; Everly e Mitchell), queste tecniche si sono rapidamente diffuse in tutto il mondo risultando, ancora oggi, gli strumenti più utilizzati per prevenire reazioni psicologiche potenzialmente traumatiche.

- Defusing: un piccolo gruppo di 6-8 persone si riunisce entro le prime 12 ore successive all’evento. In una prima fase, conduttori dell’intervento si presentano, rendono esplicite le regole di condotta, il rispetto della privacy e gli obbiettivi dell’incontro. In seguito, viene chiesto ai partecipanti di descrivere esclusivamente i fatti, così come sono accaduti. Infine, i conduttori insegnano strategie di riduzione dello stress da applicare in futuri simili scenari.
- Debriefing: si forma un gruppo omogeneo di 8-10 persone tra vittime dirette e soccorritori. Il leader e il co-leader sono professionisti della salute mentale che guidano i processi di elaborazione, intercettano eventuali segni di disagio del gruppo, dirigono le 7 fasi del debriefing. In sintesi, dopo aver rievocato i fatti avvenuti, i partecipanti sono invitati a narrare i propri pensieri legati a quei momenti. Solo in seguito è il momento della narrazione delle reazioni emotive e della descrizione dei sintomi fisici. Prima delle conclusioni, i conduttori forniscono al gruppo consigli utili alla gestione del distress emozionale.

Defusing e debriefing si possono applicare a contesti di diversa portata ed intensità. A titolo esemplificativo si riporta l’esperienza italiana dell’uso del debriefing a seguito dell’incidente al grattacielo Pirelli, a Milano nei primi anni del 2000. Nella scuola elementare che si trovava nelle vicinanze dello schianto, sono stati tenuti due gruppi di debriefing con le maestre. In quell’occasione si è lavorato oltre che sulla propria esperienza sulle modalità per prevedere, capire e affrontare le reazioni e le paure dei bambini in circostanze come questa. A conclusione degli incontri, è stato distribuito materiale contenente informazioni e linee guida per il comportamento: cosa fare, cosa osservare nei bambini, le regole da seguire per le scuole, per gli adulti e per i genitori.
In generale, questi interventi hanno come obbiettivo principale il normalizzare l’esperienza, ridurre e attenuare le reazioni intense, ricostruire una rete sociale alimentando la coesione del gruppo e il senso di reciprocità.